Una recensione firmata da Caterina Ramonda di Fondobosco, dal sito Biblioragazzi, raggiungibile QUI.
Il segno di Marco Bailone, a tratti spigoloso e appuntito, a tratti morbido, è lasciato senza compagnia di colore, in solo bianco e nero per raccontare un viaggio allucinante e allucinatorio verso il selvatico. Ispirata a un trafiletto di cronaca del 1959 che riportava la vicenda di un valligiano ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Collegno in preda ad un improvviso stato di alienazione e pazzia, la storia si snoda nel contrasto borgata di valle/città, riprendendo le leggende dei boschi, gli spiriti dei larici e la realtà della montagna. Racconta di Pinin, passato in osteria prima di inoltrarsi nel bosco col compito di abbattere un vecchio larice: qui gli spiriti dell’albero, contrari e infuriati, lo fanno a pezzi lasciando poi ai corvi il compito di rimetterlo insieme “con la dolcezza di una sarta di altri tempi”. Nulla è più come prima; Pinin trova pace solo nell’abbraccio dei boschi e un giorno aggredisce chi vi lavora con le ruspe. Lo aspettano l’ospedale psichiatrico, le dicerie dei compaesani e poi la nuova fuga nei boschi i cui animali e spiriti stanno sognando (e preparando) un futuro liberato dagli esseri umani.
Rimandi a temi molteplici inseriti lungo il racconto: dai tralicci saltati alla solitudine di Pinin; dall’interrogarsi solingo di un infermiere dell’ospedale alla natura in ribellione; dagli sguardi dei compaesani all’alienazione dell’ospedale psichiatrico.