Sul quotidiano “Il manifesto” del 28 gennaio 2017 è pubblicata la recensione di Alessandro Barile del nostro libro “7oo anni di rivolte occitane“, che riportiamo qua sotto:
A dispetto del luogo comune che vorrebbe la Francia uno dei paesi più “unitari” e omogenei d’Europa, questo è al contrario uno dei territori maggiormente attraversati da spinte secessioniste e federaliste: occitani, corsi, bretoni, baschi, alsaziani e fiamminghi da secoli lottano per il riconoscimento delle proprie specificità nazionali, culturali e politiche. L’esasperato centralismo statuale non è allora la caratteristica peculiare di un territorio particolarmente coeso, ma la risposta necessaria che la Francia è stata costretta a darsi onde evitare l’inevitabile frantumazione. Come si è imposto questo centralismo, è proprio l’oggetto della ricerca di Gérard de Sède, pubblicata in Francia addirittura nel 1970 ma che solo oggi vede la sua edizione italiana per opera meritoria delle edizioni Tabor (tabor.noblogs.org). L’autore si concentra sullo specifico caso occitano, che costituisce un unicum nella storia europea. L’Occitania è infatti il più grande dei territori europei, con una popolazione stimata di 15 milioni di abitanti e una superficie di 196 mila kmq, a non aver mai raggiunto alcuna forma di riconoscimento ufficiale e istituzionale, a non essere mai divenuta Stato. Per dirla con le parole del romanziere Robèrt Martì, “il solo territorio sovrano che il popolo occitano poté mai abitare furono la sua lingua e la sua letteratura”. Una lingua e una letteratura davvero notevoli, che coincisero con l’apice della letteratura medievale trobadorica, e che successivamente si trasformarono in strumento di resistenza all’assimilazione francese dopo il XIV secolo. L’annessione di tutto il Mezzogiorno al nord francese non avvenne però pacificamente. Anche nel caso occitano, i perdenti rimangono senza voce, vittime di una guerra civile mai riconosciuta. Eppure, la pacificazione occitana rimane uno dei capitoli più cruenti della storia francese e della chiesa cattolica. L’istituzione stessa del Tribunale dell’Inquisizione, nel 1184 e perfezionata da Innocenzo III nei primi anni del XIII secolo, rispose alla necessità di stroncare la religione catara in Occitania, un culto popolare che, sfruttando la dimensione religiosa, garantì la continuità di alcuni caratteri tradizionali occitani addirittura pre-romani. La crociata del 1209-1229, la prima contro altri cristiani, solo superficialmente rispose alle esigenze di pacificazione confessionale: molto più concretamente, la religione servì come copertura ideologica di un processo di annessione territoriale di una popolazione aliena alle caratteristiche dei gallo-franchi del nord. L’esagono francese, almeno fino alla fine del XV secolo, era tutt’altro che compatto territorialmente e culturalmente. La stessa lingua, oggi celebrata come elemento di unità culturale dal mare del Nord al Mediterraneo, fino al XVIII secolo avrà vita dura nell’affermarsi in tutto il regno. Solo l’organizzazione delle prefetture garantirà la soppressione di ogni particolarismo locale. Un fenomeno in sé non necessariamente regressivo, ma che calato nella specifica realtà occitana assume la forma della colonizzazione interna. Il saggio di de Sède ripercorre settecento anni di resistenza, di rivolte, di vere e proprie guerre civili combattute da eroi sconosciuti: dalla resistenza religiosa di Bernard Délicieux alle rivolte contadine dei crocquants, dai guerriglieri camisards alle comuni occitane del XIX secolo, per finire nel Novecento dove il movimento occitano assume chiaramente i caratteri progressivi e socialisti nella lotta contro l’accentramento francese e contro l’invasore nazista. La conclusione dell’autore è amara ma sintetizza un fenomeno tipico di certi regionalismi addomesticati dal potere centrale: una volta sconfitta politicamente e sottomessa culturalmente, l’Occitania viene riscoperta in chiave turistica e sotto-culturale proprio da quello Stato centrale nei secoli impegnato alla sua scomparsa reale. Dagli anni Settanta l’Occitania vive la sua “riscoperta”, così come il catarismo, oggi rivalutato (e addirittura rivendicato dai “francesi”) in chiave folcloristica e pacificata. Nel momento in cui non fa più “paura”, l’Occitania diviene elemento culturale da sfoggiare, simbolo della trasformazione democratica dello Stato. Motivo in più per visitare quei luoghi fuori da circuiti turistici prestabiliti, magari partendo proprio dalle Valli occitane piemontesi.